Cari amici,
come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi
con le formule consumate del vocabolario di circostanza,
vi arrivasse con una stretta di mano,
con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Come vorrei togliervi dall'anima, quasi dall'imboccatura
di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà,
che non da spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace!
Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza
La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore,
è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione.
Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l'olocausto planetario.
Non la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi.
Coraggio, disoccupati.
Coraggio, giovani senza prospettive,
amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati.
Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto.
Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito,
che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito.
Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte
a chi decide di "amare", non c'è morte che tenga,
non c'è tomba che chiuda, non c'è macigno sepolcrale che non rotoli via.
Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.
Vostro
don Tonino Bello, vescovo
Riportiamo dal blog:
Antonio Bello era nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935. Entrato da ragazzo nel seminario di Ugento, fu ordinato sacerdote l’8 dicembre 1957 e, nel 1982, divenne Vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Tutto il suo ministero episcopale fu al servizio dei poveri, dei senza-casa, dei disoccupati, degli immigrati e degli emarginati. Amò, annunciò e visse l’immagine della “Chiesa del grembiule”, condividendo con gli ultimi il sogno di un’umanità più giusta e fraterna e, più concretamente, lo stile di vita, spesso l’abitazione e la congrua che riceveva. Osteggiato o mal sopportato da quanti scambiano l’appartenenza alla Chiesa per un’opportunità di carriera o si legano ai potenti di turno attraverso la pratica di reciproci favori, seppe invece contagiare quanti incontrava con l’amore per la vita e per Cristo che in lui traspariva e con la coerenza e semplicità che testimoniava. Nominato nel 1985 Presidente nazionale di Pax Christi, si fece pellegrino di pace, ovunque ne vedesse la necessità, proclamando la Parola di Dio e compiendo gesti profetici di riconciliazione. L’ultimo fu quando, già visibilmente malato, partì con altri 500 pacifisti, di diverse nazioni, credenti e non credenti, il 7 Dicembre 1992, per Serajevo, ancora in guerra. Lì disse loro: “Vedete, noi siamo qui, allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva. [...] Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà. [...] Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”. Don Tonino morì a Molfetta il 20 aprile 1993.
Ecco un brano di una lettera in preparazione alla Pasqua 1987 di don Tonino Bello, dal titolo, “Uno per uno fa sempre uno. Verso la Pasqua, casa della Trinità”, tratta dal volume “Omelie e scritti quaresimali”:
Colsi l’occasione per leggere al mio amico la paginetta che avevo scritto. Quando terminai, mi disse che con tutte quelle parole, la gente forse non avrebbe capito nulla. Poi aggiunse: “Io ai miei zingari sai come spiego il mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c’è una Persona che si aggiunge all’altra e poi all’altra ancora. In Dio ogni Persona vive per l’altra. E sai come concludo? Dicendo che questo è uno specie di marchio di famiglia. Una forma di ‘carattere ereditario’ così dominante in ‘casa Trinità’ che, anche quando è sceso sulla terra, il Figlio si è manifestato come l’uomo per gli altri”. Quando don Vincenzo ebbe finito di parlare, di fronte a così disarmante semplicità, ho lacerato i miei appunti. [...] Cari fratelli, lo so che la Trinità è molto più che una formula esemplare per noi, e che non è lecito comprimerne la ricchezza alla semplice funzione di analogia. Ma se oggi c’è un insegnamento che dobbiamo apprendere con urgenza da questo mistero, è proprio quello della revisione dei nostri rapporti interpersonali. Altro che “relazioni”. L’acidità ci inquina. Stiamo diventando corazze. Più che luoghi d’incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca. Tendiamo a chiuderci. La trincea ci affascina più del crocicchio. L’isola sperduta, più dell’arcipelago. Il ripiegamento nel guscio, più della esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. Sperimentiamo la persona più come solitario auto-possesso, che come momento di apertura al prossimo. E l’altro, lo vediamo più come limite del nostro essere, che come soglia dove cominciamo a esistere veramente. Coraggio. Irrompe la Pasqua! È il giorno dei macigni che rotolano via dall’imboccatura dei sepolcri. E’ l’intreccio di annunci di liberazione, portati da donne ansimanti dopo lunghe corse sull’erba. E’ l’incontro di compagni trafelati sulla strada polverosa. È il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più e che corre di bocca in bocca ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. E’ la gioia delle apparizioni del Risorto che scatena abbracci nel cenacolo. È la festa degli ex-delusi della vita, nel cui cuore all’improvviso dilaga la speranza. Che sia anche la festa in cui il traboccamento della comunione venga a lambire le sponde della nostra isola solitaria. (Antonio Bello, Uno per uno fa sempre uno. Verso la Pasqua, casa della Trinità).
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