Riconoscente a Dio per il grande dono della vocazione missionaria, sono cosciente che essa comporta la possibilità di trovarmi coinvolto in situazioni di grave rischio per la mia salute ed incolumità personale, a causa di epidemie,rapimenti, assalti e guerre, fino all’eventualità di una morte violenta. Tutto accetto con fiducia dalle mani di Dio, e offro la mia vita per Cristo e la diffusione del suo Regno.P. Fausto Tentorio
Durante le Veglie per i Missionari Martiri, il prossimo 24 aprile, verrà ricordata la figura di Padre Fausto Tentorio, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere nelle Filippine, ucciso il 17 ottobre scorso nella cittadina di Arakan, nell’isola di Mindanao.
L’isola si trova nel Sud del territorio delle Filippine (una nazione ponte tra Oriente e Occidente, dove è predominante il problema della sovrappopolazione), in cui sono presenti forti tensioni tra la popolazione cristiana e la minoranza musulmana, concentrata quasi interamente lì.
La morte di padre Tentorio tuttavia non è legata al fondamentalismo islamico, ma alla difesa delle popolazioni indigene a Mindanao.
P. Fausto era nato a S. Maria di Rovagnate, in provincia di Lecco, nel 1952. Aveva iniziato la formazione nel Pime nel 1974 e nel 1977 era stato ordinato presbitero. Partito nel 1978 per le Filippine, aveva lavorato inizialmente ad Ayala, nella diocesi di Zamboanga. Era passato nel 1980 alla diocesi di Kidapawan, prima nell’area di Columbio, poi dal 1986 in quella di Arakan.
Impegnato già a Columbio con le comunità indigene, pur lavorando anche con quelle cristiane, nel 1990 aveva deciso di impegnarsi a tempo pieno con i tribali della zona, i Manobos, circa 20.000 persone in via d’estinzione, lavorando nella formazione e organizzazione delle loro piccole comunità montane. Cercava così di rispondere alle loro necessità e speranze quotidiane: lavoro e scuola.
Ma rispondere voleva anche dire affrontare forze molto potenti interessate più ai beni materiali e interessi personali che a quelli di fratellanza locale e universale. A partire dal 1955, con l’arrivo dei primi coloni, a queste popolazioni erano stati tolti migliaia di ettari di foresta, loro habitat naturale. La scomparsa della terra avrebbe portato anche alla scomparsa delle tribù. Con l’aiuto della CEI, di alcune ONG e di agenzie governative, era riuscito in questi anni a far sì che il governo riconoscesse la priorità dei tribali sulle terre ancestrali rimaste. Il lavoro era poi continuato con la nascita di cooperative agricole, educazione sanitaria e alfabetizzazione.
Negli ultimi tempi il missionario si era impegnato per fermare la diffusione dell’industria mineraria, altro elemento di distruzione delle popolazioni indigene. Proprio per questa sua attività a favore degli ultimi, p. Fausto era già stato in passato oggetto di minacce ed era scampato ad altri attentati: in un’occasione precedente fu protetto dagli stessi indigeni.
I Superiori dell’Istituto hanno subito precisato: “Nessuno dei nostri missionari del Pime vuole fare l’eroe, ma tutti desideriamo essere fedeli alla nostra vocazione missionaria”.
I missionari che lavorano nelle Filippine, due giorni dopo il tragico episodio hanno fatto il loro comunicato. Ecco due passi salienti:
- “A questo punto della storia, la comunità del Pime nelle Filippine, rinnova il suo impegno a testimoniare il Vangelo nonostante rischi di ogni genere. Noi abbiamo fatto la promessa di servire la Chiesa e le persone nelle Filippine così come abbiamo fatto dal 1968, contando sulla presenza del Signore Gesù: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28: 20), e quindi non andremo via in questo momento, ma rimarremo e continueremo a servire. Il male non trionferà con la morte di p. Fausto!”.
- “Facciamo nostre le parole dell’arcivescovo Orlando Quevedo, vescovo emerito di Kidapawan: “La morte di p. Fausto è un puro assassinio. Io lo condanno totalmente come un crimine che grida al cielo. Se gli autori pensano che la sua uccisione zittirà sacerdoti, religiosi, fratelli e sorelle, e vescovi dal proclamare la giustizia del regno di Dio, si sbagliano. Il sangue dei martiri come p. Fausto sostiene il coraggio e l’audacia di coloro che si interessano alla pace e alla giustizia abbastanza da sacrificare loro stessi mentre percorrono la strada della non violenza attiva. Lancio un forte appello alle autorità affinché cerchino gli autori e li consegnino alla giustizia”.
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