giovedì 15 marzo 2012

Confidate - abbiate fede - ho vinto il mondo


Ieri ricorreva il quarto anniversario della morte della fondatrice del Movimento dei Focolari; il cardinale Angelo Scola ha presieduto una celebrazione eucaristica in suo ricordo nella Basilica di Sant’Ambrogio.
Noi la ricordiamo con una sua riflessione sulle motivazioni che aiutano ad affrontare le asperità della missione e della vita.

"Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe" (Lc 17,6).

Quante volte nella vita senti il bisogno che qualcuno ti dia una mano e nello stesso tempo avverti che nessuno può risolvere la tua situazione! E' allora che ti rivolgi inavvertitamente a qualcuno che sa rendere le cose impossibili possibili. Questo qualcuno ha un nome: è Gesù.

Ascolta quanto ti dice:

"Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe".

E' ovvio che l'immagine non va presa alla lettera. Gesù non ha promesso ai discepoli un potere di fare miracoli spettacolari per stupire la folla. Sradicare e trapiantare nel mare è un'iperbole, cioè un modo di dire volutamente esagerato, per inculcare nella mente dei discepoli il concetto che alla fede nulla è impossibile.

Ogni miracolo infatti che Gesù ha operato, direttamente o attraverso i suoi, è sempre stato fatto in funzione del Regno di Dio o del Vangelo o della salvezza degli uomini. Sradicare un gelso non servirebbe a questo.

Il paragone col "granellino di senapa" sta a indicare che Gesù non ti domanda una fede più o meno grande, ma una fede autentica. E la caratteristica della fede autentica è quella di poggiare unicamente su Dio e non sulle tue capacità. Se ti assale il dubbio o l'esitazione nella fede significa che la tua fiducia in Dio non è ancora piena: hai una fede debole e poco efficace, che fa ancora leva sulle tue forze e sulla logica umana.

Chi invece si fida interamente di Dio, lascia che lui stesso agisca e... a Dio niente è impossibile.

La fede che Gesù vuole dai discepoli è proprio quell'atteggiamento pieno di fiducia che permette a Dio stesso di manifestare la sua potenza. E questa fede non è riservata a qualche persona eccezionale. Essa è possibile e doverosa per tutti i credenti.

"Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe".

Si pensa che Gesù abbia detto queste parole ai suoi discepoli quando stava per inviarli in missione.

E' facile scoraggiarsi e spaventarsi quando si sa di essere un piccolo gregge impreparato, senza talenti particolari, di fronte a folle innumerevoli alle quali bisogna portare la verità del Vangelo. E' facile perdersi d'animo di fronte a gente che ha tutt'altri interessi che il Regno di Dio. Sembra un compito impossibile.

E' allora che Gesù assicura i suoi che con la fede "sradicheranno" l'indifferenza e il disinteresse del mondo. Se avranno fede nulla sarà loro impossibile.

Questa frase può essere inoltre applicata a tutte le altre circostanze della vita, purché siano in ordine al progresso del Vangelo e alla salvezza delle persone. Alle volte, di fronte a difficoltà insormontabili può nascere la tentazione di non rivolgersi nemmeno a Dio. La logica umana suggerisce: basta, tanto non serve. Ecco allora che Gesù esorta a non scoraggiarsi e a rivolgersi a Dio con fiducia. Egli, in un modo o nell'altro, esaudirà.

Così è successo a Lea. Erano trascorsi alcuni mesi dal giorno in cui aveva affrontato, piena di speranza, il nuovo lavoro in un paese straniero. Ma ora un senso di sgomento e di solitudine le attanagliava l'anima. Sembrava che tra lei e le altre ragazze con cui lavorava e viveva si fosse eretta una barriera insormontabile.

Si sentiva isolata, straniera tra la gente che avrebbe voluto soltanto servire con amore. Tutto dipendeva dal dover parlare una lingua che non era né sua, né di chi l'ascoltava. Le avevano detto che tutti parlavano il francese e se l'era imparato, ma, venuta a contatto diretto con quel popolo s'era accorta che studiava il francese soltanto a scuola e in genere lo parlava malvolentieri.

Tante volte aveva tentato di "sradicare" l'emarginazione che la teneva lontana dalle altre, ma invano. Che poteva fare per loro?

Vedeva ancora davanti a sé il volto della sua compagna Marie pieno di tristezza. Quella sera si era ritirata nella sua stanza senza toccar cibo. Lea aveva tentato di seguirla, ma si era arrestata davanti alla porta della sua camera, timida e titubante. Avrebbe voluto bussare... ma quali parole usare per farsi intendere? Era rimasta lì per qualche secondo, poi si era arresa ancora una volta.

La mattina dopo entrò in chiesa e si mise in fondo, fra le ultime sedie, col viso tra le mani per non far scorgere ad alcuno le lacrime. Era quello l'unico posto dove non occorreva parlare un'altra lingua, dove non era neppure necessario spiegarsi, perché c'era Qualcuno che capiva al di là delle parole. Fu la certezza di quella comprensione che la fece ardita, e chiese a Gesù: "Perché non posso dividere con le altre ragazze la loro croce e dire quelle parole che tu stesso mi hai fatto capire quando ti ho trovato: che ogni dolore è amore?"

E stava lì quasi ad attendere una risposta da chi nella vita le aveva illuminato ogni buio. Abbassò gli occhi sul Vangelo di quel giorno e lesse: "Confidate - abbiate fede - ho vinto il mondo" (cf Gv 16,33). Quelle parole scesero come olio nell'anima di Lea, ed ebbe una grande pace.

Rientrando per la colazione si imbatté subito in Agnés, la ragazza che badava all'ordine della casa. La salutò e la seguì fino alla dispensa; poi, senza parlare, cominciò ad aiutarla nel preparare la colazione.

La prima a scendere dalle stanze fu Marie. Veniva in cucina a cercarsi il caffè, in fretta per non veder nessuno. Ma lì si arrestò: la pace di Lea aveva toccato il suo animo in modo più forte di qualunque parola.

Quella sera, sulla strada del ritorno verso casa, Marie raggiunse Lea con la bicicletta e, sforzandosi di parlare in modo a lei comprensibile, le sussurrò: "Non sono necessarie le tue parole; oggi la tua vita mi ha detto: 'Ama anche tu!'"

La fede aveva vinto.

"Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe".

                               Chiara Lubich


Chiara Lubich era nata a Trento il 22 gennaio 1920 da una famiglia di tipografi. Durante il regime fascista, suo padre, socialista, rimase senza lavoro a causa delle sue idee, sicché la famiglia dovette sopportare anni di gravose difficoltà economiche. Durante la seconda guerra mondiale, l’incontro di Chiara con una donna che aveva perso i suoi quattro figli a causa della guerra, la portò alla convinzione che il Vangelo poteva diventare il meccanismo di una potente trasformazione sociale, se vissuto condividendo le sofferenze e le privazioni dei poveri. Nacque così quella che sarebbe divenuta l’ “Opera di Maria” (meglio conosciuta come Movimento dei Focolari), di cui Chiara e un gruppo di amiche formarono il primo nucleo.  Alcuni anni più tardi, nel 1962, Giovanni XXIII  diede la prima approvazione al movimento, che venne, via via, chiarendosi e approfondendo quello che sarà il suo specifico carisma: una “spiritualità dell’unità” tra generazioni, culture, chiese, religioni. E, ad aprire cammini nell’ambito del dialogo interreligioso, soprattutto con ebrei, musulmani e buddisti, Chiara Lubich si dedicò fino ai suoi ultimi anni. Il 10 marzo 2008, il peggioramento delle sue condizioni di salute, già precarie a partire dal 2006, richiesero un suo ricovero in ospedale, dove ricevette la visita del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Giudicando prossima la fine, il 13 marzo chiese di poter far ritorno nella casa di Rocca di Papa, dove si spense il giorno successivo.

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