sabato 10 marzo 2012

Anche il PIME ha i suoi martiri

Padre Carlo Osnaghi milanese, sepolto vivo in Cina ormai settant’anni fa, era sicuro di non aver mai smesso di amare quel popolo: «Povera Cina infelice! Quanto sentiamo di amarti, noi ultimi apostoli, pronti a tutto pur di salvarti dall'abisso. E se Iddio vuole vittime di espiazione, eccoci!».


Lo ha ricordato in un articoletto, che abbiamo ricevuto ed è appena apparso sulla rivista del PIME del sud-Italia "Venga il tuo Regno", Padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime di Milano, esperto di Cristianesimo nella Cina contemporanea con alle spalle un lungo servizio a Hong Kong.

2 febbraio 2012. Il Bambino Gesù presentato e offerto a Dio nel Tempio di Gerusalemme è il primo vero Martire, cioè Testimone dell'amore del Padre: “Luce che lo rivela alle genti”, come ha saputo vedere il vecchio Simeone. 
E proprio oggi ho ricevuto un singolare messaggio da un gruppo di amici, una cinquantina, che qualche mese fa (settembre 2011) fecero un pellegrinaggio nel cuore della Repubblica Popolare Cinese, per onorare un manipolo di “martiri” del PIME che, giusto 70 anni fa, vi offrirono la vita a testimonianza del Vangelo. Uno di essi, padre Carlo Osnaghi, di Milano, fu sepolto vivo proprio il 2 febbraio 1942 a Kaifeng (provincia del Henan).
Mi è sembrata una singolare coincidenza, mentre la Chiesa italiana si prepara a celebrare la Giornata dei Missionari Martiri. Anche perché siamo nell'anno che Papa Benedetto XVI ha voluto  dedicare alla riscoperta dell'immenso dono della Fede, e i vescovi della Chiesa intera si preparano ad approfondire nel grande Sinodo l'impegno per la Nuova Evangelizzazione. I Martiri sono testimoni qualificati di questa Fede e garanti che l'Evangelizzazione, cioè l'annuncio dell'amore di Dio attraverso la Buona Novella, non verrà mai meno nella Chiesa. “A loro, che rappresentano le avanguardie dell’annuncio del Vangelo, va l’amicizia, la vicinanza e il sostegno di ogni credente”, dice il Papa.
Sono stati ben 26 gli operatori pastorali che nei quattro continenti hanno testimoniato questo amore al Vangelo con l'offerta della loro vita nel corso dell'anno 2011. Di questi, ben 18 erano sacerdoti, quasi tutti diocesani; ma ci sono anche quattro religiose e quattro laici. Quanto alla provenienza, oltre la metà (15) sono Latino-Americani, che hanno trovato la morte proprio nell'America centro-meridionale. Altri cinque erano Europei, mentre tre provenivano da vari Paesi dell'Africa e tre dall'India. Tra i luoghi del sacrificio, al di fuori dell'America Latina, prevale l'Africa.
Il PIME è rappresentato in questo singolare “albo d'onore” dello scorso anno da padre Fausto Tentorio, nato in provincia di Lecco 60 anni fa e freddato da un sicario  ad Arakan nella grande isola di Mindanao al sud delle Filippine il 18 ottobre 2011; la sua presenza discreta ed efficace  ostacolava i piani di sfruttamento capitalistico nei confronti di una delle popolazioni tribali più abbandonate di quel Paese. Nella stessa difficile situazione di Mindanao, dove prevale anche il fondamentalismo islamico, onoriamo come Martiri altri due missionari del PIME, p. Tullio Favali (1985) e p. Salvatore Carzedda (1992).
Del resto la storia dell'Istituto è stata imporporata dal sangue fin dai suoi inizi, perché proprio la prima spedizione partita per l'Oceania nel 1852 si concluse tragicamente tre anni dopo con il sacrificio nell'isola di Woodlark del padre Giovanni Mazzucconi, pure di Lecco; egli fu beatificato dal Papa Giovanni Paolo II nel 1984. In tutto sono 19 i confratelli del PIME che ricordiamo e onoriamo come modelli di dedizione totale alla missione. Cinque di loro più un catechista locale furono uccisi in Birmania (oggi Myanmar) tra il 1950 e il 1960, e uno in Bangladesh nel 1972.
Ma ben nove sono quelli che sparsero il sangue sul suolo cinese. Primo fra tutti fu Alberico Crescitelli, di Altavilla Irpina (Avellino), ucciso nella missione di Hanzhong tragica rivoluzione dei Boxer (1900). Oggi la Chiesa intera lo venera come santo, essendo stato solennemente canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 1° ottobre dell'Anno Santo 2000. Come si sa, la Nuova Cina, dopo che Mao Zedong vi proclamò la vittoria del regime comunista (1949), espulse tutti i missionari esteri. E tra questi oltre un centinaio erano membri del PIME, perché la Santa Sede aveva  affidato ben cinque diocesi all'Istituto per portarvi il Vangelo. Rimase accessibile soltanto Hong Kong,sulla costa meridionale, perchè a quel tempo era una colonia inglese, e anch'io vi fui destinato nel 1956. Ricordo l'impressione che mi facevano i “reduci” dalla Cina comunista che, scampati al furore della rivoluzione marxista, avevano chiesto di poter continuare ad Hong Kong il loro servizio di carità, lavorando con profonda dedizione per le masse di disperati che erano fuggiti da quella tirannia. Anche la Chiesa di Hong Kong ebbe fra i suoi “testimoni” due confratelli del PIME, padre Emilio Teruzzi di Lesmo (Milano) trucidato dalla guerriglia nel 1942 e padre Valeriano Fraccaro di Castefranco Veneto (Treviso) nel 1974.


Nel messaggio sopra ricordato, gli amici che avevano fatto il pellegrinaggio in Cina sulle orme dei nostri martiri esprimevano il desiderio che si avvii una ricerca storica per una possibile Causa di Beatificazione dei sei nostri missionari uccisi in circostanze simili nella provincia del Henan oltre mezzo secolo fa. Il primo di essi era stato padre Cesare Mencattini di Soci/Bibbiena (Arezzo), colpito il 12 luglio 1941 poco più che trentenne a Qimen, nella diocesi di Weihui (oggi Anyang). Quattro mesi dopo (il 19 novembre 1941), poco più a sud venivano barbaramente trucidati altri quattro confratelli, tra i quali il nuovo vescovo designato di Kaifeng, mons. Antonio Barosi, 40 anni, di Solarolo (Cremona). Con lui trovavano la morte i padri Mario Zanardi, 37 anni, originario di Soncino (Cremona), Bruno Zanella, 32 anni, originario di Treviso, e Gerolamo Lazzaroni, di soli 27 anni, di Colere (Bergamo). Il dramma di questi quattro avvenne nella missione di Dingqun, un avamposto all'estremo sud della diocesi, dove mons. Barosi si era recato per amministrare il sacramento della confermazione. La morte di Carlo Osnaghi, seguita solo tre mesi dopo, chiudeva quella tragica fase.
La provincia del Henan in quel periodo era stata investita in pieno all'invasione dell'armata giapponese. La zona dove operava padre Cesare, appena a nord del Fiume Giallo, era stata una delle prime a risentirne le tragiche conseguenze. Ma ben presto l’intera provincia ne risultò devastata, a causa della decisione presa dal comando dell'esercito nazionalista di far saltare le dighe del poderoso Fiume Giallo, vicino a Kaifeng, nel disperato tentativo di arrestare l'avanzata giapponese. I missionari del PIME scelsero di rimanere al loro posto nonostante gli evidenti pericoli, continuando a servire le comunità isolate per la furia delle acque, divenute di fatto “terra di nessuno”, in balìa della guerriglia, di briganti e soldati sbandati.
Ecco come descrive la situazione il padre Cesare Mencattini in una delle ultime lettere che era riuscito a far giungere al vicario generale dell'Istituto: “Da quattro anni curo il medesimo distretto. Ancora non ho passato un giorno di pace. Sempre in guerra. Tutta la mia plaga è stata ed è sempre piena di soldatacci che mi fanno tribolare non poco.....Vi sono i comunisti! Fanno paura. Che dottrine perverse propagano! Agiscono e si muovono sempre di notte . Poveri noi se riuscissero a stabilirsi. Mi sono incontrato con loro quattro o cinque volte. Me la sono sempre cavata per vera protezione del Signore. La prima volta mi spararono ben tre rivoltellate senza riuscire a colpire né me né il mio servo... La seconda volta mi portarono via la coppa del calice e la pisside e strapparono cotta e messale. Una terza volta, a buio, tornando da una Estrema Unzione, mi fermarono spianandomi i fucili dinanzi. (…) Poi vi sono anche i soldati del nuovo governo. Aggiunga infine una turma di brigantacci che cercano di rosicchiare più che possono, commettendo ogni sorta di delitti e di rapine. Tra le loro vittime io conto due catechisti portati via da loro, di cui uno fu sepolto vivo e uno decapitato...(...) Non ostante tanto disordine, sono riuscito a fabbricare una piccola cappella. E' di lusso per questo Paese; sono semplici mura di fango, all'esterno ricoperte di mattoni. … Si è troppo stanchi di questa vita così agitata...”. Padre Cesare veniva mortalmente colpito in un'imboscata pochi mesi dopo, mentre si recava in bicicletta ad incontrare il suo vescovo per progettare un ulteriore sviluppo del suo distretto missionario.
 Non si tratta di superuomini, scrive l'arcivescovo Riccardo Fontana pastore di Arezzo nella prefazione al volume che ripropone le lettere scritte da padre Cesare ai famigliari, ma di testimoni della presenza di Dio nella storia, pronti a fare della carità la ragione della propria vita e della fede la forza per viverla con intensità”.
Questo è anche il pensiero di Benedetto XVI nell'invitare la comunità ecclesiale a celebrare la memoria di questi “Martiri” del Vangelo: I cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli”.
Questo è l'auspicio che anche noi condividiamo, per noi stessi e per tutti i nostri amici.

p. Angelo S. Lazzarotto, PIME                            


Padre Angelo ha dedicato la vita alla Cina, con un approccio all’insegna dell’amicizia, del dialogo e della ricerca costante di punti di convergenza e unione. Paragonandolo a Padre Matteo Ricci che quattrocento anni fa aveva fondato la Chiesa in Cina, Padre Angelo è stato tra coloro che maggiormente hanno seguito e favorito la rinascita della Chiesa in quel grande Paese, dopo la persecuzione comunista.

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