La mattina del 2 marzo 2011, lasciata la casa della madre per recarsi al lavoro, il veicolo su cui viaggiava (privo di scorta) fu attaccato da un gruppo di uomini armati, che aprì il fuoco, ferendolo gravemente. Morì nel trasferimento all'ospedale. Era ministro del Pakistan per le minoranze, difensore dei deboli e degli emarginati.
Dal suo testamento:
Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo.Shahbaz Bhatti era nato il 9 settembre del 1968, in una famiglia cristiana originaria del villaggio di Kushpur, nel distretto di Faisalabad (Punjab, Pakistan). Fin da giovanissimo, seguendo l’insegnamento e la testimonianza del padre, Jacob, aveva deciso di impegnarsi per la tutela dei diritti delle minoranze oppresse del suo Paese, cristiani, indù, sikhs. Fu tra i fondatori dell’All Pakistan Minorities Alliance (APMA), e del Christian Liberation Front (CPF), oltre che direttore esecutivo del Pakistan Council for Human Rights (PCHR). Per la sua attuazione ricevette numerosi riconoscimenti, fra cui, nel settembre del 2010, il Premio Internazionale della Pace “Simbolo della Pace”. Nel frattempo, nel 2002 aveva aderito al Pakistan People's Party, la formazione politica più riformatrice del Paese, e nel 2008 fu eletto all’Assemblea Nazionale e nominato Ministro federale per le Minoranze. Nonostante le ripetute minacce di morte da parte delle minoranze fondamentaliste del Paese, soprattutto per la sua opposizione alla famigerata “legge sulla blasfemia”, in vigore dal 1986, non si lasciò intimorire, continuando la sua battaglia contro ogni forma di intolleranza. Il 2 marzo 2011, fu ucciso in un attentato rivendicato dal TTP (Tehrik-i-Taliban Pakistan).
Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora — in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan — Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.
Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.
Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione.Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna
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