domenica 30 ottobre 2011

La vita ti porta tante cose


Oggi sul sagrato della chiesa era proposto l'acquisto di una rivista, per sensibilizzare i parrocchiani a gettare uno sguardo su orizzonti lontani, per comprendere da dove provengono e che genesi hanno le storie di disagiati che capitano appena fuori dal nostro uscio di casa. Vicende spesso dolorose che pongono alle nostre coscienze questioni importanti e mettono alla prova la nostra capacità residua a raddrizzare le storture del mondo: il piccolo che ci attornia e il grande che ci intimidisce.

Scarp de’ tenis è un giornale di strada. Dà voce alla strada, cioè agli uomini e alle donne che ci vivono. Inoltre analizza la strada, cioè i fenomeni e le vicende che producono emarginazione, esclusione sociale, povertà. La sua pubblicazione è promossa dalla Caritas Ambrosiana.
I senza dimora ne sono i protagonisti: sono collaboratori e venditori del giornale, lo scrivono (in parte), lo diffondono, beneficiano delle opportunità di reinserimento che esso offre.

Tra i tanti articoli che compongono la rivista, abbiamo pensato di riproporre qui l'intervista a don Piero Gallo, parroco di San Salvario a Torino, che inizia con il raccontare un episodio tratto dalla Lettera ai Galati, in cui i Santi Pietro e Paolo dibattevano se i pagani dovessero diventare prima ebrei, o potessero divenire direttamente cristiani; il loro disaccordo si conclude in un abbraccio, rappresentato in una famosa icona.

Don Piero, come è arrivato alla scelta del sacerdozio?
Da piccolo facevo il chirichetto, servivo la messa. Come don Adolfo Ferrero, che ora è rettore della chiesa di Santa Cristina in Piazza San Carlo, che conosco da allora, e con cui ceno ancora insieme alla sera. Ma già all'asilo volevo diventare prete e la suora mi dava la sedia per fare la predica. Sono di famiglia contadina, della provincia di Cuneo, a scuola riuscivo bene, ma facevo anche un po' il contadino. A 11 anni sono entrato nel seminario di Giaveno. Nessuna vacanza, tanti pianti. Al liceo in realtà avrei voluto fare il medico, ma il rettore del seminario maggiore di Rivoli, monsignor Pautasso, mi disse: "tu sei fatto per essere prete".

Cosa l'ha spinta a vivere l'esperienza umana del missionario?
Sono diventato prete nel 1961. Dopo qualche anno ho fondato la parrocchia della Resurrezione, avevo 31 anni, ero il parroco più giovane di Torino. All'arcivescovo Ballestrero chiesi di fare il missionario, così sono stato in Kenya per 12 anni. I primi 4 anni in Africa li ho trascorsi nel deserto, poi ho aperto la missione che è rimasta attiva per 25 anni.

Dopo l'esperienza in Kenya, ha vissuto come una missione anche il ritorno da parroco a San Salvario?
Il cardinale Saldarini, quando sono tornato, mi ha proposto la parrocchia dei Santi Pietro e Paolo. Allora c'erano poche persone di colore, poi nel giro di 5 anni sono diventate molte. Non c'è uno strumento "tecnico" acquisito in Kenya: le popolazioni presso cui sono stato erano costituite da poverissimi pastori, "gli ultimi". Si doveva stare attenti che non morissero durante la siccità. Ecco, a San Salvario ho dato la stessa attenzione agli umili, che hanno problemi di abitazione e di cibo.

Come è riuscito a gestire la multietnicità e la differenza tra le religioni in Kenya e a San Salverio?
Il primo anno dopo il ritorno dall'Africa ho sofferto: ogni 10 minuti la mente era là. Ma San Salverio incalzava, l'aumento dell'immigrazione scatenava molti scontri, le persone svendevano gli appartamenti per lasciare il quartiere. Nel periodo più difficile abbiamo fatto molte cose insieme alle comunità valdese, ebraica e anche con l'imam Aboussad. Oggi con la parrocchia nell'"Estate Ragazzi" e nel "Settembre Ragazzi" coinvolgiamo 100 bambini di elementari e medie che hanno religioni e provenienze diverse. I ragazzini non fanno nessuna differenza.

Cosa le è piaciuto dei suoi cinquant'anni di sacerdozio?
Sono convinto che il mio lavoro sia stato il più adatto a me e se dovessi ricominciare lo rifarei, se Dio volesse. Mi piacciono le relazioni. Stamani, prima di venire a Scarp, ho incontrato una coppia di ecuadoregni, mi piacciono i rapporti con i giovani, con i ragazzi, ma anche con le istituzioni. Il mio lavoro non mi ha mai stufato, neanche il sole mi ha mai stufato. La vita ti porta tante cose.

Ci può raccontare una storia che l'ha particolarmente colpita?
In Kenya ho mandato 50-100 ragazzi a studiare nelle città più grandi, qualcuno anche all'università. Don Adolfo ha sponsorizzato una ragazza che ha frequentato l'università e un master post-laurea. Lei si presentò per un lavoro in una agenzia della banca Barclays, durante il colloquio, il direttore le chiese da dove venisse. Lei rispose che era del comune di Lodokejek e così lui capì, perché era anch'egli uno dei ragazzi che don Ferrero aveva mandato a studiare grazie ai contributi di amici e parrocchie piemontesi.

Cosa farà da sacerdote in pensione?
Conto di abitare nel mio paese di nascita, con i miei fratelli e mia sorella, e di dedicarmi a leggere e scrivere, a sostituire i sacerdoti in caso di necessità e a proseguire la collaborazione con Torino Sette della Stampa e con l'emittente locale Telecupole.

Ha qualche rimpianto?
L'unico rammarico che ho è che bisognerebbe essere santi, essere esattamente quello che dico...

Nessun commento:

Posta un commento