sabato 21 maggio 2011

Più vivi di prima



Quella di Fabio Salvatore è una storia che merita davvero di essere conosciuta. Giovane, bello, con un mestiere interessante. Tutto sembra andare a gonfie vele finché, a poco più di vent’anni, Fabio si imbatte in una malattia che rischia di fermare la sua breve vita: il cancro alla tiroide.

Fabio Salvatore: la solitudine è peggio del cancro
tratto da: http://wisesociety.it/incontri/fabio-salvatore-la-solitudine-e-peggio-del-cancro/


In un primo momento riesce a debellarlo, ma il tumore torna di nuovo a distanza di anni e anche questa volta viene sconfitto. Così, quello che poteva essere la fine di tutto è diventato un nuovo inizio per l’attore e regista pugliese che ha deciso di dedicarsi agli altri, in particolare ai giovani, mettendo a disposizione di chi soffre la propria personale esperienza. Ne sono nati negli anni tre romanzi di successo (l’ultimo in ordine di tempo Ti cerco da sempre) e soprattutto una serie di iniziative e campagne sociali come per esempio “Al di là del presente. Più vivi di prima” (www.piuvividiprima.com), patrocinata anche dal Ministero della Gioventù e ideata proprio da Fabio. Un’iniziativa che ruota intorno ai problemi dell’universo giovanile e al difficile rapporto con il dolore e l’incomprensione da parte di una società che fa sempre più fatica ad ascoltarsi e ad ascoltare. Il messaggio è dare speranza alle nuove generazioni affinché non si chiudano nel proprio malessere e non si arrendano mai di fronte alla ricerca della felicità.

Ci racconta com’è nata la campagna “Al di là del presente. Più vivi di prima”?
Chi vive accanto ai ragazzi, quindi famiglie, insegnanti, operatori sociali, sa bene che nei momenti di maggiore difficoltà i giovani si chiudono e non riescono a chiedere aiuto: il risultato è rimanere soli in balia delle loro emozioni e magari mettere in atto comportamenti autodistruttivi, cadendo nella trappola di droga e alcol. Il nostro vuole quindi essere un invito che rivolgiamo loro perché riescano a comunicare il proprio malessere, il proprio dolore, guardando oltre i limiti del presente, per ritrovare la speranza, l’energia, la voglia di non arrendersi.

Pensa che la felicità sia un progetto realizzabile?
Sì, la felicità è il percorso più bello della libertà. Se vogliamo essere veramente felici dobbiamo essere liberi di amare noi stessi e gli altri. La vita è un inno alla gioia e all’amore per cui quando si cade e si prova sconforto non bisogna avere paura perché è proprio in quel momento che si può scoprire qualcosa di nuovo e forse importante su se stessi.

Ma il dolore non è semplice da accettare…
Certo, però spesso noi uomini capiamo veramente una cosa solo quando tocchiamo il fondo. È in quei momenti che dimostriamo di che stoffa siamo fatti. Personalmente ho vissuto gli ultimi dodici anni della mia vita, da quando ho affrontato la prima operazione, come un’opportunità, un dono che mi è stato fatto e che ho cercato di utilizzare per conoscere meglio me stesso e gli altri.

Lei ha definito il cancro uno scarafaggio. È vero?
Sì, uno scarafaggio che mi ha fatto scoprire la vita. La gente di solito pensa alla sofferenza come a una grande sfortuna, un castigo e si chiede: “perché proprio a me?”. Invece può essere un’opportunità che ci umanizza e ci mette a contatto con la nostra essenza più profonda. Io non maledirò mai la mia malattia perché mi ha fatto tanti doni fra cui la riscoperta della fede: non una fede bacchettona a cui aggrapparsi soltanto per chiedere aiuto nelle difficoltà, ma qualcosa di vivo e profondo. E poi l’incontro con i ragazzi di “Nuovi orizzonti” (una comunità che lavora sulla strada occupandosi soprattutto di giovani e disagio sociale, ndr) grazie ai quali ho ritrovato le chiavi della mia felicità perchè non puoi amare gli altri senza prima amare te stesso. Molte persone che fanno volontariato vanno a prestare servizio alle mense dei poveri, ma ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “Io alla mia mensa ci sono mai andato?” È difficile mettersi a nudo, perché siamo abituati a indossare maschere che ci rassicurano. Ma bisogna farlo, è necessario ascoltarsi per amarsi e accettarsi. Meglio essere scomodamente se stessi che ingannarsi tutti i giorni.

In questo la nostra società non ci aiuta…
Sì, è vero. Oggi viviamo in un mondo bombardato da messaggi negativi, per cui viene spontaneo  rinchiudersi, difendersi nel proprio egoismo. C’è invece molto bisogno di condividere: non solo gioie, ma anche sofferenze, perché se le teniamo nascoste, sigillate dentro di noi, ci bloccano e alla lunga ci distruggono. Grazie alla campagna che abbiamo promosso siamo venuti in contatto con moltissimi giovani, nelle scuole, in Rete, negli ospedali e mi ha fatto riflettere molto quello che ho ascoltato da loro: non hanno tanto paura di morire di cancro quanto di morire depressi e soli, senza nessuno che li ami, al loro fianco. Questo dovrebbe farci pensare a che tipo di società abbiamo costruito: un mondo dove facciamo finta di essere tutti amici, tutti in comunicazione e invece nascondiamo enormi solitudini.

Da cosa bisognerebbe ripartire?
Innanzitutto dobbaimo smettere di parlare solo di violenza e dare spazio alla legge del più forte. Bisogna imparare a rivalutare il bene perchè l’amore genera amore e il bene genera bene. I veri eroi del nostro tempo sono le persone che non hanno paura di amare, che lavorano in silenzio per scoprire una particella in grado di salvare milioni di vite umane, tutti quelli che si battono per la verità e la giustizia.
Il problema di fondo è che nella nostra società non si può essere se stessi e chi dice le cose come stanno diventa scomodo. Non si può dire che sei innamorato perché sembra un’ingenuità e invece “fa figo” frequentare escort e non devi dire che sei malato perché bisogna essere sempre belli, giovani, in forma e al top dell’efficienza. Tutte gabbie che intrappolano la nostra libertà e ci tolgono la possibilità di essere davvero felici.

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