giovedì 10 ottobre 2013

Salvare l’Africa con l’Africa

“Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa.”
                                                                   Daniele Comboni
Daniele Comboni era nato in una povera famiglia contadina, quarto degli otto figli di Domenica e Luigi Comboni, a Limone sul Garda (Brescia) il 15 marzo 1831. Durante gli studi a Verona aveva maturato la sua vocazione, che lo portò, completati gli studi di filosofia e teologia ad essere ordinato sacerdote nel 1854 e a partire, tre anni dopo,  per la sua prima missione in Africa, con destinazione Khartoum, la capitale del Sudan. Tornato in Italia, elaborò nel 1864 un Piano per la rigenerazione dell'Africa, sintetizzabile nello slogan “Salvare l’Africa con l’Africa”, espressione della sua fiducia incrollabile nelle risorse umane e religiose delle popolazioni africane. In mezzo a non poche difficoltà e incomprensioni ("nulla si fa senza la croce"), Daniele Comboni intuì che la società europea e la Chiesa cattolica erano chiamate a prendere in maggior considerazione la missione dell'Africa Centrale. A tale scopo, si dedicò ad un'instancabile animazione missionaria in ogni angolo d'Europa, chiedendo aiuti spirituali e materiali per le missioni africane tanto a Re, Vescovi e signori, quanto a gente povera e semplice. Sull’onda di queste sfide, fondò, nel 1867 e nel 1872, l'Istituto maschile e l'Istituto femminile dei suoi missionari, che saranno conosciuti in seguito come Missionari Comboniani e Suore Missionarie Comboniane. E come strumento di animazione missionaria creò la prima rivista missionaria in Italia, l'attuale Nigrizia. Nominato Vicario apostolico dell’Africa Centrale e consacrato vescovo nel 1877, dedicò i suoi ultimi anni con instancabile energia a battersi contro la piaga dello schiavismo e a consolidare l'attività missionaria con gli stessi africani. Il 10 ottobre 1881,  a soli cinquant'anni, stroncato dalle fatiche e dalla malattia, moriva a Khartoum, tra la sua gente. «Io muoio, disse, ma la mia opera non morirà» e così è stato finora.
Papa Giovanni Paolo II lo ha canonizzato il 5 ottobre 2003, dopo averlo beatificato nel 1996.

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