Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa. Che so, una “testimonianza”, come si usa dire. A me che sto per partire. Qualcosa che riguardi i motivi o gli stati d’animo che accompagnano la mia partenza.
Per quanto riguarda i motivi, li posso sintetizzare in poche parole: perché sono membro di un Istituto missionario, e normalmente i missionari partono; perché non sono ancora da “rottamare”; perché la sfida dell’uscita da sé, per un cristiano, è decisiva.
E la missione la esprime con un’eloquenza tutta particolare. Devo poi aggiungere che mi sono sempre un po’ sentito cittadino del mondo, incuriosito più che intimorito dalla diversità, anche se le mie radici sono ben piantate nella nostra cultura e nella nostra chiesa. Insomma, ritengo che la partenza sia una “grazia” che non potevo non accogliere e una sfida che non potevo non accettare. Forse un ultimo scatto prima della Meta.
E la missione la esprime con un’eloquenza tutta particolare. Devo poi aggiungere che mi sono sempre un po’ sentito cittadino del mondo, incuriosito più che intimorito dalla diversità, anche se le mie radici sono ben piantate nella nostra cultura e nella nostra chiesa. Insomma, ritengo che la partenza sia una “grazia” che non potevo non accogliere e una sfida che non potevo non accettare. Forse un ultimo scatto prima della Meta.
Perché i confini veri, quelli che bisogna attraversare se si vuole continuare a vivere, rimangono sempre e solo quelli intimi, interiori, che dovrebbero segnare non una linea di separazione, ma una linea di incontro tra le persone prima ancora che tra le culture o le religioni.
Andrò a San Paolo, una città di circa 16 milioni di abitanti nella quale il Pime è la classica goccia nel mare. Scoraggiante? Direi di no. Sfidante? Direi di sì.
Una sfida, quella della piccolezza, che tutti dovremmo accettare e vivere con passione. La passione che chi sente tutta la gioia di abitare questo mondo affascinante, complesso, problematico e inquieto, sicuro non dei risultati, ma della forza che viene dal Signore.
Che cosa andrò a fare? Probabilmente cose che ho già fatto. Lavorerò con le idee e con le relazioni, facendo, ma soprattutto essendo quello che mi sarà possibile.
Per quanto tempo? Finché sarà utile e sensato rimanere. O “fin quando Dio vorrà”, come si diceva un tempo.
Desidero aggiungere qualcosa sulla mia lunga frequentazione della parrocchia di S. Ildefonso. Per me è stato come prndere una continua boccata d’aria salutare e tonificante. Poter celebrare ogni domenica la Messa per e con la gente, fermarmi in chiesa per le confessioni, proporre qualche spunto di riflessione in varie occasioni ai diversi gruppi, per un prete è questione di “vita o di morte”, un antidoto efficace alla progressiva perdita dell’entusiasmo e della “ragione”. Se i “fedeli” hanno bisogno dei pastori, i pastori hanno bisogno dei fedeli per restare se stessi e per non dimenticare d’essere sempre e comunque uomini.
A tutti voi che mi avete accompagnato in questi anni con generosa benevolenza, il mio cordiale e, mi permetto, affettuoso saluto.
p. Massimo Casaro
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