giovedì 29 dicembre 2011

Cristo non è mai stato più Salvatore che sulla Croce


Nei giorni scorsi, oltre ad assistere agli attentati in Nigeria ai danni dei fedeli Cristiani, si è fatta memoria del martirio in Algeria di quattro Padri Bianchi: Charles Deckers, Alain Dieulangard, Jean Chevillard, Christian Chessel. Per capire la ragione della presenza della Chiesa in regioni tanto inospitali e difficili, riportiamo la traduzione di un articolo di Etienne Renaud dal titolo: Il significato della presenza dei Padri Bianchi nel Maghreb e in situazioni di pericolo”.

Il tema originale suggeritomi era: 'Perché noi Padri Bianchi rimaniamo in Algeria?' Penso che, anziché limitarsi alla riflessione sulla domanda diretta se rimanere o andarsene, potrei allargare un po’ il concetto: è utile ricordarsi che - sfortunatamente - non soltanto in Algeria i Padri Bianchi vivono in estrema insicurezza. È stato precedentemente il caso di Beirut, dell’Uganda negli anni ‘80 e nel 1994 in Ruanda, dove due nostri confratelli  sono stati uccisi. Le ripercussioni del conflitto ruandese continuano a risentirsi nella diffusa instabilità della regione dei Grandi Laghi, dove i nostri confratelli, la Chiesa e le persone in generale sono obbligate a vivere in un clima di pericolo che mette a dura prova i nervi di ciascuno.
Sebbene la nostra maggior preoccupazione sia l’Algeria, contemporaneamente consideriamo sempre le altre situazioni di rischio. Vorrei anche porre la nostra apprensione per l’Algeria nel contesto più vasto della nostra presenza nel Maghreb musulmano, la regione in cui la nostra Società si è formata e che per noi rimarrà sempre la terra di predilezione.
Si potrebbe obbiettare che ci sia qualcosa di vagamente improprio se qualcuno, vivendo tranquillamente a Roma, fornisca opinioni su situazioni di pericolo in terre distanti; è perciò che ho tentato per quanto possibile di ascoltare quanti son stati direttamente coinvolti, specialmente quanti hanno dato la loro vita per l’Algeria.


Nessuna soluzione pronta

Il 20 gennaio 1995 a meno di due mesi dall’uccisione di due nostri confratelli, il Capitolo Generale ha indirizzato il seguente messaggio a tutti i Padri Bianchi presenti in Algeria: 'Siamo profondamente commossi dal coraggio dimostrato nella vostra risposta a questa drammatica situazione… Continuate come uomini liberi a perseguire la strada dell’amicizia e solidarietà. Di fronte a tutte le minacce, siete naturalmente dibattuti tra il desiderio di rimanere con quelli che vi hanno accolto come fratelli e ciò che sembra la decisione 'più ragionevole' di partire… Attraverso di voi rimaniamo ancora presenti in Algeria. Dopo molti istanti di preghiera e riflessione il Capitolo Generale conferma la vostra scelta. Contemporaneamente che ognuno si senta libero di decidere personalmente per sé stesso.' Si deve notare che tutti sono partecipi della lettura della situazione e che questo rinforza la coesione del gruppo, non solo tra i Padri Bianchi, ma anche a livello di Chiesa locale, che in tali circostanze si ri-forma attorno i propri pastori.

Non c’è assolutamente la ricerca del martirio. Come un abate cistercense rimarcava: “L’ordine non ha bisogno di martiri, ma di monaci.”
Ci sono istanti in cui le circostanze sembrano cogliere le decisioni per noi, obbligandoci a mutamenti e riaggregazioni.
In breve, bisogna rispondere a una situazione in continua evoluzione, che richiede decisioni flessibili; non esistono risposte definitive, applicabili a tutte le circostanze.

Nello spirito dell’Incarnazione
Era importante chiarificarlo fin dal principio e si possono ora considerare le ragioni profonde che si celavano dietro la nostra volontà di affrontare i rischi: l’ispirazione di ogni vita missionaria è l’Incarnazione di Cristo che si è unito all’umanità anche attraverso la morte. Due settimane prima di morire, Padre Christian de Chergé disse a un gruppo di Cristiani a Algeri: “Dobbiamo trovare nell’Incarnazione la vera ragione per la nostra presenza sacrificale in Algeria.”
Un tema del quale la Chiesa locale è divenuta via via più cosciente è il concetto biblico di Patto. Il Capitolo Generale delle Sorelle Bianche ha scritto alla Sorelle in Algeriail 4 settembre 1990: ‘Grazie per il Patto che avete stabilito con il popolo algerino nel nome della vostra Fede in Gesù Cristo. È un patto che, attraverso la vostra presenza, noi sottoscriviamo.’ Quando i monaci di Tibhirine decisero di rimanere esposti alla condizione della regione di Medea, trovarono ulteriori ragioni per la loro decisione nel loro voto alla stabilità, citato dall’Abate Priore dei Trappisti, Don Bernard Oliviera. L’anno precedente, il vescovo Claverie aveva scritto nello stesso spirito: ‘Non siamo né profeti, né fanatici, né eroi, né schiavi. Ma abbiamo stabilito con le persone in Algeria delle relazioni che neppure la morte può dissolvere. In ciò non siamo altro che discepoli di Cristo.’
Questo patto non conosce limiti ed è gratuito. Riascoltiamo il Vescovo Claverie: “Siamo come persone sedute tristi e impotenti al capezzale di un malato, incapaci di far nient’altro che reggere la mano e umidificare la fronte. Noi prestiamo il nostro tempo, durante gli ultimi istanti di vita, semplicemente per essere presenti, con il solo scopo di dire: la festa è finita, ma io rimango con te. Voglio rimanere presente durante la tua sofferenza. Non vi è utilità, potresti dire, ma esso è un dono di puro amore. È la prova che la Chiesa non è qui per cercare un beneficio.”
Al centro di tutto c’è Cristo, indifeso di fronte alla violenza scatenata contro di lui: “Nella sua carne ha ucciso l’odio.” Sulla debolezza dell’apostolo ha meditato Christian Chessel alcuni mesi prima della morte: ‘Cristo non è mai stato più Salvatore che sulla Croce. È stato da questo abisso di debolezza che egli ha salvato il mondo. Ed è per questo fine che ci chiede di seguire questa stessa strada. È perché noi stessi siamo deboli che possiamo vedere con occhi diversi quanti si rivolgono a noi nella loro debolezza. Siamo in grado di accoglierli e di ascoltarli. Essi guardano a noi per capire, e quando percepiscono di essere compresi, allora sanno di essere amati. Questo è ciò che ci è chiesto: essere testimoni attenti e rispettosi del dramma che si svolge attorno a noi. Perché viviamo la nostra debolezza con gli altri, perché non abbiamo paura di essere deboli, siamo in grado di testimoniare la fede che ci anima. Manifestiamo la forza che abita nella nostra debolezza, la forza che fa assegnamento solo su Dio.’

La Chiesa presenta le sue credenziali
Tutti gli algerini riconoscono: “Avete scelto di stare dalla parte degli oppressi.” È forse causa di sbalordimento che in nessun altro periodo della storia la Chiesa ha dato così chiara testimonianza di ciò che debba essere conferito dal messaggio cristiano in tutta la sua purezza.
Nel mezzo della prova, la Chiesa trova tutta la sua legittimazione e la sua credibilità, come Teissier, l’Arcivescovo di Algeri, ha proferito: “Come conseguenza, esistono molti amici algerini per i quali noi ora costituiamo la Chiesa di Algeria.”
Nel suo testamento Padre Christian de Chergé parla di perdono garantito in anticipo ‘all’amico dell’ultimo istante che non sapeva ciò che stava commettendo.’ Ho avvertito in queste parole un’ispirazione che non proveniva ‘né dalla carne, né dal sangue’, ma da molto più in alto, dall’innocenza dell’amore che crea: il perdono è realmente al cuore della vocazione Cristiana.
Abbiamo letto in una lettera di una madre algerina all’Arcivescovo Teissier: ‘Dopo la tragedia, dopo il sacrificio vissuto da voi e noi assieme, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore, di tolleranza, trasmesso dai nostri fratelli monaci a voi e a noi, ho deciso di leggere a voce alta il testamento di Christian ai miei figli. L’ho letto piena di commozione, perché percepivo che era rivolto a noi tutti. Volevo comunicare questo messaggio dell’amore di Dio e degli uomini. Il testamento di Christian è più che un messaggio, è un’eredità. Il nostro grazie alla Chiesa per essere presente tra noi oggi.’


Una testimonianza in territorio Musulmano

Nella nostra Congrega si sente meno spesso: ”Cosa fate in nord Africa? Perché sciupate il vostro tempo, quando non vi sono conversioni? Che senso ha tutto ciò?” Il Capitolo ha fornito un gran supporto nell’aprire le menti, per farci accorgere che il dialogocon le altre religioni è parte integrale della missione della Chiesa. Dio non considera le barriere erette dagli uomini tra di loro e la missione della Chiesa è quella di portar testimonianza dell’amore universale del Padre. Come potrebbe allora la Chiesa rifiutarsi di interessarsi a miliardi di persone per la ragione che sono Musulmani?
Desidero invitare a guardare oltre l’Islam militante che crea i titoli sui giornali, che io chiamo ‘Islam strombazzato’. Dietro la facciata c’è una realtà più sottile. Possiamo deplorare l’indurimento dell’Islam, ma dobbiamo renderci conto che molti Musulmani lo deplorano alla stessa maniera. Sviluppi interessanti stanno cominciando a aver luogo, di cui ne vorrei menzionare alcuni.
Il lavoro della Chiesa è indirizzato soprattutto a cambiare la consapevolezza della gente. Di fronte alla violenza ha portato la sua testimonianza di non-violenza. Ma i mutamenti sono percepibili in molteplici situazioni di pacificazione. In Tunisia, per esempio, la ‘cultura mediterranea’ è diventata di moda; la gente parla delle proprie origini puniche, di Sant’Agostino come un pensatore nordafricano. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione è stato importante, specialmente nei circoli universitari. Si può aspettarsi voglia di rinnovamento e apertura più tra i laureati e gli studenti delle moderne Università, che non tra i ranghi dell’establishment tradizionale.


Rinnovata fedeltà
Vorrei concludere sulle note della fedeltà rinnovata, perché compendia  l’atteggiamento complessivo di cui la Chiesa nel Maghreb cerca di impossessarsi. Fedeltà nei tempi di prova non solo per l’Algeria, ma anche per il Ruanda, il Burundi e il Congo. Questa fedeltà fa riferimento in particolare alla introspezione del Cardinal Lavigerie a riguardo della nostra vocazione a testimoni nella terra dell’Islam.
Come a voi, ogni volta che apprendo della morte violenta di un missionario, mi viene ricordato il mio dovere di fedeltà. La solidarietà con i nostri fratelli ci richiama a una fedeltà giornaliera nella nostra vita, in questo particolare angolo della vigna in cui il Signore ci invita a partecipare alla edificazione del Regno.


Charles Deckers era nato ad Anvers (Belgio), nel 1924, in una famiglia di nove figli. Arrivato in Algeria nel 1955, durante la guerra d’Indipendenza, nel 1956 aveva creato a Tizi-Ouzou “Lemâaouna” (Aiuto reciproco), un’associazione con lo scopo di visitare i prigionieri musulmani, insegnare il berbero e l’arabo, dare una mano ai poveri. Chi l’ha conosciuto ripete di lui : “Era un santo!”.


Alain Dieulangrand, originario di St. Brieuc in Bretagna (Francia), dov’era nato nel 1919, era giunto in Algeria nel 1952. Avrebbe passato 44 anni della sua vita in Kabilia. Lo chiamavano “nonno”. Anche i musulmani ricorrevano a lui per confidargli i loro tormenti.


Jean Chevillard, nato ad Angers (Francia) nel 1925, in una famiglia di 15 figli era stato ordinato prete nel 1950. In Algeria aveva creato numerosi centri di formazione professionale. Il giorno della sua morte aveva confidato ad alcuni amici: “So che morirò assassinato”.


Christian Chessel, il più giovane del gruppo, era nato a Digne (Francia), nelle Alpi, nel 1958. Ingegnere del genio civile, fu mandato a Tizi-Ouzou nel 1993 e, l’anno successivo, fu nominato responsabile della comunità. Sognava di creare una grande biblioteca per i giovani della zona, ma non gliene hanno dato il tempo.


La mattina del 27 dicembre 1994, una banda armata irruppe nella casa dei Padri Bianchi a Tizi Ouzou, a circa 60 chilometri da Algeri. Tre o forse quattro individui, arrivati a bordo di un furgone, si introdussero nel cortile, con l’obiettivo evidente di sequestrare i religiosi. Ostentando un documento della polizia, intimarono ai padri di seguirli “per discutere un problema”. Ammalato e con difficoltà a camminare, il P. Chevillard fu trascinato fuori a forza e ucciso freddamente. Subito dopo fu la volta degli altri tre sacerdoti. I tre padri che abitavano a Tizi Ouzou e il P. Deckers, arrivato il giorno prima da Algeri, avevano scelto di restare in Algeria, malgrado il pericolo a cui erano esposti. Molto attivi nell’aiuto sociale ai bisognosi, la loro vita quotidiana era divisa tra l'impegno di sostenere moralmente e materialmente la gente e la preghiera. Centinaia di persone, per lo più di fede islamica, seguirono il giorno dopo i funerali dei quattro imrabden irumyen, i santoni francesi. Come li chiamava la loro gente.

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