A conclusione delle celebrazioni per il 50° anniversario del Centro Missionario PIME di Milano, la Fondazione PIME Onlus propone, sabato 30 giugno alle 21 presso l'Auditorium PIME, lo spettacolo "Il Padre che sorride", un recital tratto dalle lettere del Beato Clemente Vismara ideato, realizzato e interpretato dal gruppo giovani degli oratori di Agrate, Omate e Caponago.
La serata è in corrispondenza del primo anniversario della beatificazione di padre Clemente, oltre che della conclusione dell'anno di festeggiamenti per il significativo raggiungimento del Centro missionario e permetterà di ricordare alcune tra le persone che hanno aiutato nei primi 50 anni di vita, con un semplice attestato di fedeltà che verrà consegnato nell'intervallo dello spettacolo.
Il programma della serata è il seguente:
- ore 21.00 Saluto e proiezione di un breve video
- ore 21.15 Prima parte del recital
- ore 22.00 Consegna degli attestati di fedeltà ad amici e collaboratori del Centro Missionario PIME
- ore 22.15 Seconda parte del recital
- ore 23.00 Saluto finale
Padre Clemente Vismara nacque ad Agrate il 6 settembre 1897. Orfano della madre a cinque anni e del padre a sette, fu affidato ai nonni materni e a sedici anni entrò nel seminario diocesano di San Pietro a Martire, a Milano, dove rientrò al termine della Prima Guerra mondiale, dopo aver trascorso un periodo al fronte. Il giovane sentì da subito il richiamo della missione e nel 1920 entrò nel Pime,il Pontificio istituto missioni estere. La sua ordinazione a sacerdote risale al maggio del 1923 e all’agosto dello stesso anno la sua partenza per la Birmania.
Resterà per trentadue anni a Monglin, dove vedrà crescere una chiesa, e solo dopo, nel 1929, la sua casa; successivamente impiantò, e se ne prese cura, un orfanotrofio maschile e femminile, una scuola, un ospedale, un convento per suore, per le decine di villaggi tra i monti e una comunità di duemila cristiani: un grande progetto, affrontato quotidianamente con tanta semplicità e caratterizzato da una straordinaria carità, cominciato in un villaggio sperduto dello Shan State, in cui venne a contatto con la piaga dell’oppio, la povertà, le credenze pagane.
Lì ebbe inizio la sua esperienza di accoglienza e di testimonianza di fede.
Padre Clemente visse quasi sempre da solo la sua Missione: molti confratelli che gli furono al fianco morirono presto per gli stenti; lui stesso temette di morire e si preparò una cassa da morto, «la mi preme la pelle, quindi voglio che sia messa via per bene», scrisse. Quella cassa, preparata ogni volta con cura, fu ceduta e rifatta per ben diciotto volte. Nel 1955 il trasferimento a Mongping, dove proseguì con inesauribile impegno la sua missione e dove morì nel 1988, a 91 anni. Fu sepolto, come da lui disposto, a Mongping nel piazzale della chiesa costruita nel 1962.
Nella sua casa aveva 250 bambini e bambine orfani: venne perciò da subito invocato come protettore dei bambini.
Nella sua casa aveva 250 bambini e bambine orfani: venne perciò da subito invocato come protettore dei bambini.
I ragazzi sono il tesoro del missionario, il missionario è il tesoro, la vita dei ragazzi. Se entrate nella casa del missionario, chi trovate? Un prete circondato da ragazzi. Se vi imbattete su pei monti nella carovana che va in cerca di fortuna fra villaggi pagani, chi sono i componenti di questa carovana apostolica? Dei ragazzi che circondano il prete.
È così in tutte le ore del giorno, in tutti i luoghi, in tutte le occupazioni del missionario. Pregano, studiano, lavorano, mangiano, ecc. sempre assieme. Questa comunanza di vita fa sì che l’uno diviene necessario agli altri e viceversa. Il primo è la lampada, i secondi il combustibile. Formano un’unità indivisibile e autosufficiente, beata e felice perché legati dall’affetto.
Con questa unione succede che i ragazzi prendono la fisionomia del missionario e questi a sua volta prende la fisionomia dei ragazzi, cioè diviene come loro, selvatico. Qualità, questa, che può essere utile e anche un pregio, perché il non essere della loro gente è macchia difficilissima da cancellare.
Questi figliuoli – quasi sempre dei poveri ragazzi abbandonati, orfani, sventurati, malati – sono proprietà esclusiva del missionario, che li ha acquistati o per amor di Dio o per pochi soldi, e può disporre di essi come un padre dispone dei propri figli e provvede al mantenimento completo come un padre deve provvedere ai propri figli. La vita missionaria è bella e piena d’affetto, ideale di anime non piccole. Tutto il disordine e la difficoltà sta in questo: che si deve dare ciò che non si ha e provvedere a ciò che non si può.
Ma questo “già lo sapevate”.
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