venerdì 6 aprile 2012

SeguirLo fino alla fine



Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. (2Cor 8,10) 
Gesù manda il gran grido.
Rende lo spirito al Padre,
immenso silenzio improvviso;
via fugge, snidata, la morte;
addensate sul giorno
le tenebre, il sole le squarcia;
si squarcia il velo del tempio.
Immobile è tutto,
un istante che è eterno:
il Sangue solo si muove,
l'inesausto amor del Signore,
che pende regale
aperte le braccia ai fratelli
verso la Madre nel parto.
Ora ascende, ascende il Calvario,
paradiso pieno di dolore:
in un gemer tutto il creato,
la terra sussulta,
si spezzan le pietre,
nelle tombe esultano i santi;
rincasa la gente, battendosi il petto,
poca rimane, rapita nel pianto;
i crocifissi languenti
stan come assorti.
E nell'immane momento
il centurione, di fronte alla croce,
sgomento, dice, gloriando, coi suoi:
«Veramente era il Figlio di Dio».
                     Clemente Rebora, Inni
«Gesù disse: “è compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito». “Immobile è tutto, – scrive Rebora - un istante che è eterno … solo si muove l’inesausto amor del Signore”.
«Tenebrae factae sunt super universam terram». Gesù è trafitto dall’orrore di queste tenebre, di questa notte oscura. Al nostro posto Egli patisce fino in fondo la nostra intima lontananza da Dio. Tanto più dolorosamente perché non ha alcuna colpa. A Lui, infatti, tale lontananza non era affatto familiare (come purtroppo invece lo è spesso per noi): essa era anzi quanto di più estraneo potesse capitargli.
Solo il Figlio fattosi uomo sa chi è il Padre e che cosa possa significare perderlo per sempre. Ma l’amore di Dio è così ricco che può assumere anche questa forma di oscurità. E assumerla per amore del nostro oscuro mondo.
«Emisit spiritum - consegnò lo spirito». Giovanni parla della morte di Cristo in questi termini perché la legge come estremo e supremo dono di sé. L’opera dell’Uomo-Dio che si compie sulla croce è solo purissimo amore da parte del Figlio come da parte del Padre e dello Spirito, e perciò è anche un’opera della più pura libertà (perfino nella morte Gesù è il Signore).
Amici, contemplando il Crocifisso «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» impariamo il significato del sacrificio. Non una condanna da subire, ma la condizione dell’amore vero, che va fino in fondo. Perché solo passando «dal Cuore di Cristo trafitto sulla croce» noi possiamo «attingere la sublime conoscenza del Suo amore».
Prendiamo coscienza di quanto questa logica dell’inesausto amore del Signore potrebbe cambiare il nostro sguardo sui nostri affetti feriti, sui nostri cari ammalati, soprattutto, su quelli che si trovano in stato terminale!
                               Card. Angelo Scola

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