giovedì 29 maggio 2014

In India per annunciare il Vangelo


“Siamo in India perché il Signore ci vuole qui e ci vuole missionarie!”: è la risposta agli interrogativi della gente di Bombay quando le interpella. Più che la cura dei malati, il senso della Missione di Suor Bertilla e delle sue consorelle è quello di annunciare il Vangelo in una terra dove i Cristiani costituiscono un’esigua minoranza. È ciò che l’esuberante Suora dell’Immacolata, con cui siamo da lungo tempo in contatto, ci ha testimoniato al termine del Rosario Missionario meditato, animato mercoledì sera dalla nostra Commissione.

Con la voce forte e allegra, che tradisce le inconfondibili origini bergamasche, tornata temporaneamente in Italia per un periodo di soggiorno, ha voluto incominciare il racconto proprio dall’origine della Missione, nel 1968, quando un gruppo di giovani Suore si recò in India per svolgere attività educativa, aprendo una piccola scuola nella megalopoli d’Oriente.
Raggiunte le consorelle due anni più tardi, Bertilla partecipò alla trasformazione dell’impegno a favore della popolazione locale, dovuta alla constatazione che all’interno della vicina baraccopoli erano presenti un gran numero di lebbrosi abbandonati al loro destino di morte. Per iniziare a prendersi cura dei circa 200 casi assai problematici di persone piagate dalla malattia, a cui spesso i vermi consumavano le carni, le Suore dovettero chiedere un permesso alle autorità locali.
Permesso che fu concesso in quanto in quegli anni l’India era sotto accusa da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per non compiere alcun tipo di azione per debellare la terribile malattia; la condizione per la concessione fu quella che le Suore svolgessero un’attività di rilevamento sullo stato di diffusione della lebbra all’interno del rione di 80 mila persone in cui si trovavano a operare. Il risultato fu l’accertamento di 13 mila casi di malattia nei vari stadi della sua evoluzione, che prevede una lunga fase di incubazione.


A favorire il diffondersi del contagio erano le condizioni di debilitazione e indigenza della popolazione, che abitava per lo più in case costruite in plastica di recupero e bambù, nonostante Bombay costituisse già allora un luogo con abbondanti opportunità lavorative, tanto da ospitare oggi più di 30 milioni di abitanti.
Per prevenire il contagio della malattia, le Suore decisero di aprire una struttura dermatologica ospedaliera, attraverso cui potevano riconoscere la malattia dall’insorgere delle prime manifestazioni, spesso trascurate come macchie insignificanti della pelle.
All’interno della struttura venivano poi curati i casi più gravi ottenendo numerose guarigioni, ma contemporaneamente assistendo a innumerevoli decessi.
Contemporaneamente fu dato avvio a uno studentato per le figlie dei malati, che andavano sottratte al contatto dei genitori per evitare il contagio e che sarebbero rimaste altrimenti prive di qualsiasi tipo di cura e istruzione. I figli maschi venivano viceversa indirizzati verso una struttura governativa, seppur essa non assicurasse un trattamento minimamente comparabile e dove i ragazzini venivano raccolti all’interno di uno stanzone, lamentando la scarsa attenzione ricevuta in confronto a quella delle principessine dell’Istituto delle Suore.


La ragione di tale disparità di trattamento risiede nella necessità di consentire alle ragazzine, amministrando gli esigui mezzi a disposizione, di crescere e diventare donne, in una società in cui la considerazione per il mondo femminile è insignificante e la nascita di una bambina viene accolta come un episodio di sfortuna.
Negli anni l’attività delle Suore è stata ripagata da risultati decisamente positivi nella lotta alla lebbra, tanto che l’India nel 2001 dichiarò, per convenienza politica, la malattia completamente debellata. Proprio tale dichiarazione causò alle Suore problemi di mantenimento dei fondi provenienti da amici dell’Italia per le adozioni a distanza e da un’agenzia della Germania, che dovette mandare osservatori per accertare il persistere della malattia, che oggi conta ancora 400 casi all’interno del rione. Effettivamente risulta oggi più problematica la diffusione della tubercolosi, che però, essendo molto più aggressiva (sempre attraverso il contagio della saliva e delle vie aeree, come con la lebbra, assomigliandosi i bacilli), non può essere trattata all’interno delle stesse strutture, per evitarne la trasmissione.
Ultimamente la preoccupazione è per il cambio di governo della nazione, che ha premiato un movimento radicale di matrice indù e che mette addirittura a repentaglio la possibilità di permanenza delle missionarie straniere nel paese. Episodi di violenza, culminati in massacri soprattutto di Musulmani, hanno fatto crescere considerevolmente i timori per l’incolumità dei Cristiani, che sono una minoranza. Negli ultimi anni, a causa degli avvicendamenti, si è anche sofferta un po’ la lontananza dei rappresentanti diplomatici italiani, che tuttavia a Natale – richiamati al dovere dalle Suore – hanno fatto pervenire a tutte le bambine dei sacchettini pieni di dolciumi e alle Suore panettoni e torroni!


Allo stesso tempo è però aumentata la loro considerazione all’interno della società, tanto che, diversamente dal passato quando venivano completamente ignorate, ora alcuni produttori agricoli della regione forniscono alcuni alimenti e aiuti alle Suore.
Alla mancanza di vocazioni provenienti dall’Italia sopperisce la crescita delle vocazioni locali che sono abbondanti tra le ragazzine, tanto che si è potuto di recente avviare un programma di completamento di istruzione di tre anni presso la Casa Madre, qui a Milano. Le Suore italiane sono rimaste in quattro solamente, per cui è stato concesso alle giovani indiane di poter indossare il sari, anziché l’abito tradizionale dell’ordine, affinché potessero meglio integrarsi tra la popolazione del luogo.
L’attività apostolica si è sempre svolta organizzando momenti di preghiera tra i pazienti, che sono molto portati alla meditazione e manifestano un atteggiamento molto devoto, spesso arrivando a accettare l’insegnamento cristiano. Di efficacia straordinaria è l’utilizzo dei canti tradizionali, a cui vengono sostituite le parole con invocazioni alla Madonna.
Sono presenti in comunità, per fornire il loro aiuto, una cinquantina di cristiani indiani provenienti dal sud del paese e perciò molto poveri, a cui viene dedicata settimanalmente la catechesi.


Risulta reale che le varie religioni del luogo con cui avviene il contatto per molti versi posseggono l’obiettivo comune con la religione cristiana di favorire l’incontro dell’uomo con Dio, proponendo valori universali a cui tendere, per assimilare coraggio e saggezza nell’affrontare la vita.
A distanza di così tanti anni rimane ancora vivo il desiderio di conquistare alla Fede popolazioni lontane dalle nostre tradizioni, rispondendo al mandato ad extra originario, con l’esigenza di non sentirsi abbandonate, ma piuttosto aiutate nelle necessità, soprattutto ora che sono richiesti atteggiamenti più attenti anche alla salute propria.

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