sabato 28 dicembre 2013

Il segreto del Natale


Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2, 6-7).

Beh, il bambino Gesù, stanotte nella chiesa del monastero di Goiàs, è stato, a sorpresa, la piccola Anna Luisa, che a febbraio farà due anni, e, Maria e Giuseppe, i suoi genitori, Laura e José Rafael, che hanno accettato la proposta di buon grado. La celebrazione era presieduta da dom Tomás, il nostro vescovo emerito, che, nelle scorse settimane, abbiamo temuto di perdercelo, poi, si è miracolosamente rimesso, ed ora era lì, giovanile come sempre, alla vigilia del suo novantunesimo compleanno. Pieno di acciacchi, che nasconde benissimo. La chiesa era, per una volta, nuovamente piena, come quasi ai vecchi tempi. C’era la gente delle comunità del bairro e anche gente di fuori. E l’atmosfera rendeva bene il mistero celebrato. Almeno lì, veniva di pensare, ci si ricordava ancora cosa significa il Natale. Altrove, la sensazione è che, ove l’usanza di andare in chiesa sopravviva, si riduca per molti a un rito privo di significato, compresso tra il tempo e le preoccupazioni degli ultimi acquisti e quello dei preparativi per la festa in famiglia. La quale ultima ha preso decisamente il sopravvento nel sentire comune, cancellando sovente ogni riferimento religioso. E, tutto bene. Ma, non è Natale. E lo è meno ancora, se si riduce alle colossali bevute o ad una rincorsa anche maggiore del solito ad una qualche droga. Beh, ci saranno responsabilità anche di noi cristiani se si è giunti a questo. Dom Tomás, nella sua omelia, ha messo l’accento su due cose. E cioè che Dio rivolge il suo annuncio di salvezza in primo luogo ai poveri, quei pastori che non dovevano capirne mica molto di religione, né di precetti, lontani com’erano da stili e ritmi di una vita normale. E poi che Gesù ha preso sul serio quella preoccupazione del Padre, e, lungo tutta la sua vita, non ha fatto altro che manifestarla. Rivelandoci così il volto di quel Padre che nessuno aveva mai visto. Nei gesti della compassione, della cura, del moltiplicare il pane, del mondare i lebbrosi, nel reintegrare gli esclusi, nel perdonare i peccati e finendo per dare la vita per tutto questo. Poi domTomás ha chiesto a Rafael, che era ancora nei panni di Giuseppe, seduto sul pozzo della chiesa, accanto alla sua Laura-Maria, di dire lui una parola finale sul vangelo di questo Natale.  Rafael ha per un momento spalancato gli occhi, increspando la fronte, come a dire: chi? Io? Ma poi deve aver subito pensato che non è bello disobbedire a una richiesta del genere, di un vescovo, per giunta. Così, con molta calma e naturalezza, ha detto la sua. Ha detto che, per essere davvero Natale, la parola di Gesù, la parola che è Gesù, deve essere prima di tutto seminata e germinare (ha usato proprio questo verbo) in noi, e questo significa che, ovunque noi siamo, lavoriamo, studiamo, viviamo, quegli atteggiamenti di Gesù di cui parlava dom Tomás, devono essere i nostri atteggiamenti, devono manifestare anche nel nostro agire il Padre. Forse, allora, la gente che oggi l’ha dimenticato, o non lo ha mai saputo, arriverá a chiederci il segreto del Natale. Ha detto anche altre cose, ma ci limitiamo a queste. Chi era vicino al vescovo, ci ha detto poi che, commosso, si è asciugato una lacrima. Lui, il vecchio combattente.
                                       Màrio

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