Nelle ultime settimane molti di voi mi hanno scritto per sapere qualcosa di più sull’epidemia di Ebola scatenatasi in Africa occidentale.
In giro c'é una psicosi enorme. La situazione evidentemente é grave, e noi qui lo sappiamo benissimo.
L’alta mortalità e la mancanza di terapie per il trattamento e la cura della febbre emorragica hanno spinto l’OMS a dichiarare il virus «un’emergenza di salute pubblica di livello internazionale».In Europa l'Ebola non arriverà: dall’altra parte dell’oceano esistono misure preventive e protocolli sanitari efficaci, non é il caso di lasciarsi trasportare da troppi allarmismi. Per quanto riguarda il continente africano, la situazione é ben diversa. Qui l'ignoranza della gente, la diffusione di certe pratiche tradizionali, l’inadeguatezza delle infrastrutture sanitarie e la relativa debolezza dei governi nella predisposizione di sistemi di controllo, allerta e trattamento dell'epidemia favoriscono la propagazione del virus, che ha un tasso di mortalità del 90% ed é quindi estremamente aggressivo. Basti sapere che dall’inizio del 2014 l’OMS ha registrato più di un migliaio di morti e che il numero delel vittime cresce di giorno in giorno.
In una recente riunione del coordinamento nazionale umanitario, il portavoce di Medici Senza Frontiere, ONG in prima linea nella lotta contro l’Ebola nei Paesi toccati dal fenomeno (ultimo arrivato, la Nigeria), ha annunciato senza peli sulla lingua che la situazione NON é sotto controllo. Potete immaginarvi... per assistere un solo malato colpito da febbre emorragica serve un team specializzato composto da più medici ed infermieri : impossibile, a queste latitudini, assicurare un’assistenza del genere a ciascuna delle centinaia di persone contagiate.
Tra le cause della diffusione dell’Ebola ho citato anche
l’ignoranza: un collega italiano in Sierra Leone (Paese in cui noi di AVSI
abbiamo scelto di restare nonostante i rischi di contagio) testimonia che nei
villaggi la gente nasconde i malati in casa, per paura. Per loro andare in
ospedale equivale ad andare a morire. Per altro verso, i riti funebri
tradizionali prevedono che il cadavere resti in casa per giorni, a contatto con
i vivi, per la realizzazione di certe pratiche religiose. Il che ovviamente
favorisce la propagazione della malattia.
In questa situazione drammatica, mentre i governi africani
chiudono le frontiere terrestri e le compagnie aeree annullano i voli verso i
Paesi toccati dall'Ebola, tutti ci stiamo preparando al peggio.
La Costa d'Avorio, che confina con Liberia e Guinea Conakry,
due focolai del virus in cui é stato recentemente dichiarato lo stato di
emergenza, finora é rimasta indenne, ma nonostante le misure preventive messe
in atto (controllo delle frontiere, divieto di vendita e consumo di selvaggina,
sensibilizzazione a tappeto della popolazione), sappiamo tutti che basta un
solo caso, sfuggito alle maglie dei controlli, per propagare in 72 ore
un’epidemia che difficilmente potrà essere controllata.
Gli espatriati che lavorano nel settore privato mettono in
conto di lasciare il Paese alla prima minaccia.
Le ambasciate europee aggiornano le liste dei connazionali
per intervenire tempestivamente in caso di evacuazione.
Per noi cooperanti internazionali si tratta di seguire
attentamente l’evoluzione dell’epidemia per capire come poter essere utili. E'
infatti in situazioni simili che c'é più bisogno di un coordinamento
specializzato degli interventi. Noi che non siamo specialisti in medicina,
possiamo e dobbiamo giocare un ruolo di primo piano nella sensibilizzazione
della popolazione locale per il contenimento dell’epidemia. Nessuno é obbligato
a restare, chiaro, ma chi lavora in ambito umanitario sa che questo comporta
dei rischi.
Personalmente, penso che se domani annunciassero un primo
caso di Ebola ad Abidjan, resterei sul posto.
Certo, quando le cose si mettono male noi espatriati
possiamo sempre levare le tende e partire, i nostri colleghi e amici ivoriani
no…. ed io mi dico che chi puo' dare una mano nel contenimento del fenomeno ha
il dovere di fare qualcosa.
Ma questa é un'altra storia e spero di non doverla
raccontare....
Vi abbraccio con affetto,
Daniela
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