sabato 31 agosto 2013

Um forte abraço brasileiro

Carissimi,
Vi giro la testimonianza di un caro amico che quest'estate ha partecipato alla GMG di Rio, in Brasile.


Personalmente le sue parole mi hanno emozionata e penso che abbia saputo trasmettere il clima e lo spirito di quelle giornate, sintetizzandoli nella metafora dell'ABBRACCIO.
                       Daniela

Tempo fa il mio amico Giovanni mi parlava degli effetti terapeutici dell’abbraccio e allora, incuriosito, avevo trovato su internet queste note.

Alcune ricerche scientifiche hanno dimostrato che tutti abbiamo bisogno da 4 a 12 abbracci al giorno: 4 per il mantenimento del benessere psicofisico, fino 12 per incrementarlo e soprattutto nei momenti di bisogno. A livello fisiologico si è scoperto che l’abbraccio permette la produzione dell’endorfina, che ha una struttura chimica simile a quella della morfina, quindi diminuisce il dolore e aumenta il piacere, e si è notato anche che è in grado di far superare i dolori del passato.

Le condivido qui perché, se dovessi davvero scegliere una parola capace di raccogliere tutta l’esperienza brasiliana, io la troverei proprio in “abbraccio”.
Non è un caso che il logo della GMG dia spazio a quello che è un po’ il simbolo della città di Rio: il Cristo del Corcovado che con le braccia aperte accoglie tutto il mondo. L’abbraccio dice l’accoglienza che abbiamo da subito ricevuto al nostro arrivo nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova: un po’ tramortiti dal viaggio e dalla guida spericolata che avremmo sperimentato in più occasioni  nei giorni successivi siamo stati travolti da un tunnel di gioia e…abbracciati dai volontari, giovanissimi, che ci hanno poi smistati nelle famiglie ospitanti. Siamo stati abbracciati dai nostri “genitori”, fratelli, amici brasiliani che , tutti i giorni, stringendoci a sé, con un calore al quale non siamo sempre abituati, ci chiamavano figli e ci auguravano ogni bene che viene da Dio.


Indimenticabile l’incontro col Cristo del Corcovado, dolcissimo pur nella mole spropositata, con quelle braccia che sembrano chiudersi su ognuno, nonostante la rigidità della pietra. E come dimenticare l’abbraccio di pace nelle celebrazioni liturgiche, sempre ricche di una gestualità coinvolgente e sentita, durante il quale stabilire un contatto con i tuoi vicini di banco, anche sconosciuti e sentire davvero una forte fraternità ecclesiale. Sì, perché quegli abbracci hanno il sapore dell’autenticità, dell’empatia, della comunanza e ti rendono disposto a fare altrettanto con chiunque. Devo dire che non ho avuto un’educazione molto affettiva e che di mio faccio fatica ad approcciare fisicamente l’amico, il fratello. Eppure in quel clima tutto mi veniva più facile, tant’è che le nostre fredde strette di mano nelle Messe in Italia mi  lasciano interdetto. “Non ho mai abbracciato tanti sconosciuti in vita mia!” afferma candidamente Laura, e quanto è vero! Ricordo l’abbraccio nella parrocchia di Guanambì, tutti stretti attorno a  don Bruno e tanti che per osmosi si stringono a noi, gli Italiani, gli ospiti, i fratelli. Ci sorridono, ci abbracciano: c’è una vecchietta che somiglia a mia nonna, donna straordinaria, che non c’è più, e mi commuovo e il pianto di gioia scende naturale. E nei progetti visitati i bambini, i giovani, entusiasti della nostra presenza e lieti dell’incontro, trovavano nell’abbraccio il veicolo di comunicazione, più potente di ogni stentata parola di un miscuglio linguistico, divertente quanto straniante.


E poi l’abbraccio tra noi dopo aver incrociato lo sguardo dolce di papa Francesco, quasi per caso, a due passi dalla Cattedrale di Rio o l’abbraccio con Andrea dopo quasi trenta ore di viaggio all’arrivo a Caititè, accolti dalla solita ospitalità sacra o l’abbraccio con Vanderlei, il brasiliano conosciuto per caso in autobus e rivisto durante la fila infinita per prendere i pasti: una casualità che ha reso bellissimo il rincontrarsi o l’abbraccio datoci all’arrivo in Italia, per salutarci col proposito di dare continuità  a quell’incontro di talenti, di carismi, di storie.
E così una terra intera ci ha abbracciati come fratelli, ci ha trasmesso il valore della relazione, la spontaneità dei gesti semplici, l’importanza dell’accoglienza gratuita: quella xenia stuporosa che si oppone alla xenofobia a cui ci siamo sempre più assuefacendo, senza quasi più accorgercene.
Allora torno in Italia con il desiderio di abbracciare: le storie degli altri, la mia vita, anche la mia croce, di dispensare abbracci di amicizia alle tante persone importanti , di consolazione a chi vive momenti di sconforto, di gioia a chi raggiunge traguardi di felicità, di carica a chi ha bisogno di una spinta per ripartire. Il nostro è un  mondo che ha bisogno di dare valore ai piccoli gesti, a quegli abbracci che i nostri amici brasiliani, nella spontaneità e col sorriso sulle labbra, ci hanno insegnato nei giorni di un evento di massa e pertanto ritenuto spersonalizzante, ma che è invece è riuscito a parlare al cuore di ognuno con toni personalissimi.


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