Giovedì 24 marzo, alla Parrocchia della SS. Trinità, assieme alle altre parrocchie del Decanato, abbiamo partecipato alla veglia annuale di preghiera in memoria dei missionari martiri.
Il martirio è “una forma di amore totale a Dio”, si fonda “sulla morte di Gesù,
sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla croce
affinché noi potessimo avere la vita”, e la forza per
sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla croce
affinché noi potessimo avere la vita”, e la forza per
affrontarlo viene “dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo”
Benedetto XVI
Don Domenico Liu, Parroco della comunità cattolica cinese a Milano, ha infine raccontato la storia della sua conversione, della vocazione alla vita sacerdotale, del percorso da seminarista e dell'attività a fianco del suo parroco in Cina, prima di trasferirsi a Milano. Ha testimoniato le difficoltà della Chiesa clandestina all'interno del territorio cinese e auspica l'invio di molti missionari verso il suo paese, dove la presenza cristiana è inconsistente, ma dove, in questo momento di trasformazione in cui molti cinesi hanno raggiunto una condizione di effettivo benessere, è avvertito con profonda pena e tristezza il vuoto della mancanza di ideali in cui credere. Esiste quindi ora un'opportunità di evangelizzazione unica nella storia della Cina, per andare incontro ai bisogni di una popolazione in attesa.
La veglia si svolge ogni anno nell'anniversario dell'assassinio di Mons. Oscar Romero, vescovo e martire di El Salvador e quest'anno si è ricordato anche Mons. Luigi Padovese, nato a Milano il 31 marzo del 1947, originario proprio della Parrocchia della SS. Trinità, e assassinato il 3 giugno dello scorso anno a Iskenderun in Turchia, dove assolveva all'incarico di vicario apostolico dell’Anatolia.
A presiedere la veglia quest'anno è stato don Antonio, nostro Parroco e Decano, che ha parlato durante la meditazione prendendo spunto dalle riflessione di Fr. Christophe Lebreton, uno degli otto monaci trappisti uccisi a Tibhirine in Algeria, nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996:
A presiedere la veglia quest'anno è stato don Antonio, nostro Parroco e Decano, che ha parlato durante la meditazione prendendo spunto dalle riflessione di Fr. Christophe Lebreton, uno degli otto monaci trappisti uccisi a Tibhirine in Algeria, nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996:
“Sono convinto che la Bibbia è un libro di speranza e che leggerlo
ha come risultato la speranza. Ciechi e sordi come siamo, dobbiamo cominciare
a sentirlo che si narra a noi e attraverso un ascolto paziente, pervenire
a credere, a vedere la luce del giorno, a sperare e a farci coraggio e a metterci
all’opera.”
Don Domenico Liu, Parroco della comunità cattolica cinese a Milano, ha infine raccontato la storia della sua conversione, della vocazione alla vita sacerdotale, del percorso da seminarista e dell'attività a fianco del suo parroco in Cina, prima di trasferirsi a Milano. Ha testimoniato le difficoltà della Chiesa clandestina all'interno del territorio cinese e auspica l'invio di molti missionari verso il suo paese, dove la presenza cristiana è inconsistente, ma dove, in questo momento di trasformazione in cui molti cinesi hanno raggiunto una condizione di effettivo benessere, è avvertito con profonda pena e tristezza il vuoto della mancanza di ideali in cui credere. Esiste quindi ora un'opportunità di evangelizzazione unica nella storia della Cina, per andare incontro ai bisogni di una popolazione in attesa.
Oscar Arnulfo Romero Galdamez era nato il 15 agosto 1917, in una famiglia modesta di sette figli, a Ciudad Barros (El Salvador). Entrato in seminario a tredici anni, fu inviato a Roma nel 1937, per studiare all’Università Gregoriana, dove si licenziò in teologia nel 1943. Nel frattempo, il 24 aprile 1942, era stato ordinato sacerdote. Rientrato in patria, per oltre ventanni si dedicò soprattutto all’attività pastorale come parroco. Il 24 maggio 1967 fu consacrato vescovo e, tre anni più tardi, lo troviamo vescovo ausiliare di mons. Luis Chávez y Gonzales, testimone coraggioso di una Chiesa schierata in difesa dei poveri e degli oppressi. Sarà chiamato a succedergli il 22 febbraio 1977. Era un momento drammatico per la situazione sociale, politica ed economica di El Salvador, ma il Palazzo guardava senza troppa preoccupazione al nuovo arcivescovo, sapendolo uomo di studi, di una religiosità tradizionale e tendenzialmente conservatore. Tuttavia, a pochi giorni dopo il suo insediamento, di fronte al cadavere di Rutilio Grande, un suo prete assassinato per l’impegno profuso a favore dei poveri, Romero sentì chiaramente la chiamata di Cristo a prestare la sua voce ai senza-voce della storia, denunciando il clima di sopraffazione e di violenza che regnava nel Paese e segnalando le responsabilità dei potenti; sapendo essere nel contempo una presenza amica e solidale in mezzo alla gente sofferente e strumento di dialogo e di riconciliazione tra le parti in lotta. Fu ciò che fece instancabilmente durante gli anni del suo ministero episcopale. Finché glielo lasciarono fare. Ripetutamente minacciato di morte, Romero, la domenica 23 marzo 1980, pronunciò la sua ultima omelia in cattedrale, durante la quale, rivolgendosi agli uomini dell’esercito, disse: “Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. [...] In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”. Furono queste parole che probabilmente decisero la sua condanna a morte. Il giorno seguente Oscar Romero venne assassinato al termine dell’omelia, durante la celebrazione della messa nella piccola cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, a San Salvador. Era il 24 marzo 1980.
Riportiamo qui il passaggio conclusivo del discorso pronunciato da Mons. Romero, in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, da parte dell'Università di Lovanio, il 2 febbraio 1980, 50 giorni prima di essere assassinato. È considerato perciò come il suo testamento teologico e politico, che ci trasmette l’essenza della sua lettura del Vangelo e della sua vita di fede.
A seconda dell'atteggiamento che assume nei confronti del mondo dei poveri, nei confronti del popolo povero, la Chiesa, pur a partire dalla propria specificità, finisce col sostenere o l'uno o l'altro progetto politico. Crediamo che questo sia il modo col quale conservare l'identità e la stessa trascendenza della Chiesa. Inserirci nel concreto processo socio-politico del nostro popolo, giudicarlo a partire dal popolo povero, e promuovere tutti i movimenti di liberazione che conducano realmente a che le maggioranze godano della giustizia e della pace. E crediamo che questo sia il modo col quale conservare la trascendenza e l'identità della Chiesa, perché è in questo modo che conserviamo la fede in Dio. I cristiani del tempo antico dicevano: “Gloria Dei, vivens homo” (“La gloria di Dio è l’uomo vivente”). Noi potremmo riformulare in termini più concreti questo concetto, affermando: “Gloria Dei vivens pauper” (“La gloria di Dio è il povero che vive”). Crediamo che, a partire dalla trascendenza del Vangelo, noi possiamo giudicare in che cosa consista veramente la vita dei poveri, e crediamo pure che, mettendoci dalla parte del povero e cercando dì dargli vita, giungeremo a sapere in che cosa davvero consiste l’eterna verità del Vangelo. (Mons. Oscar Romero, Discorso in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, conferitagli dall'Università di Lovanio il 2 febbraio 1980).
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